Con l’ordinanza n. 25604 del 12.10.2018, la Corte di Cassazione ha risposto affermativamente alla seguente domanda: se la casa familiare è stata assegnata alla moglie in qualità di genitore collocatario, può quest’ultima continuare ad abitarla nel caso in cui la figlia sia maggiorenne e studi fuori città?
Tale decisione prende le mosse da un ricorso presentato da un padre avverso una sentenza della Corte d’Appello di Lecce, la quale, pronunciandosi in sede di reclamo, aveva ritenuto legittima l’assegnazione della casa coniugale alla ex moglie malgrado la figlia fosse maggiorenne e residente, per motivi di studio, in altra città. In particolare, il ricorrente fondava il proprio ricorso sulla presunta violazione dell’art. 360, nn. 3) e 5) c.p.c. in relazione agli artt. 155-quater e 337-sexies c.c., sostenendo che la decisione della Corte d’Appello avesse dato rilievo prioritario all’interesse della figlia maggiorenne a scapito di quello del figlio minore, il quale, a causa delle relazioni conflittuali fra i genitori, si era volontariamente allontanato dalla casa coniugale andando a vivere con il padre e con la nonna.
Gli Ermellini, con la pronuncia in commento, hanno precisato che nel caso di specie non si possa ravvisare alcuna violazione degli artt. 155-quater c.c. e 337-sexies cc., secondo cui il godimento della casa coniugale è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. L’assegnazione della coniugale, infatti, non costituisce una componente patrimoniale delle obbligazioni che sorgono in seguito alla separazione od al divorzio od una misura posta a tutela del coniuge economicamente più debole, ma rappresenta una misura finalizzata esclusivamente alla tutela dei figli, a quali viene in tal modo garantita la possibilità di continuare ad abitare la casa ove vivevano ed a non interrompere i rapporti con i luoghi ove si svolgeva la loro vita precedentemente alla separazione dei genitori.
Alla luce di quanto sopra, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto pienamente legittima la decisione della Corte d’Appello di Lecce. In particolare, gli Ermellini hanno precisato che nel caso di specie, sebbene la figlia maggiorenne fosse una studentessa universitaria “fuori sede” e tornasse nella casa familiare solo di tanto in tanto, aveva comunque mantenuto un collegamento stabile con l’abitazione nella quale conviveva con la madre e ciò a differenza del fratello minore che, sei anni prima, si era volontariamente allontanato dalla casa familiare coniugale, preferendo andare a vivere dalla nonna e dal padre. Per tali motivi la Cassazione ha confermato la decisione della Corte distrettuale ed ha condannato il ricorrente alle spese processuali del grado di legittimità.